PAROLE DETTE, NEGATE, USATE

PAROLE

DETTE, NEGATE, USATE

 Alessandra Avanzini

È importante riflettere sul valore della parola. A scuola, ma anche in ogni contesto, educativo e non solo.

La parola è ciò che maggiormente ci caratterizza come esseri umani; le parole combinate insieme strutturano la nostra mente e il nostro pensiero; le usiamo in modo spesso inconsapevole eppure sono loro che danno ordine al puzzle che è la nostra percezione del mondo degli altri di noi stessi.

Dare valore alle parole è dare valore a noi stessi, agli altri, al mondo.

Spesso non lo si fa.

E le parole, che dovrebbero aprire varchi mondi, conoscenza ed emozioni, vengono usate per ingannare, manipolare, costruire mondi distorti, conoscenze oppresse e sfocate, sbagliate.

Chi agisce così, usando le parole in modo consapevolmente strumentale e manipolatorio, non si rende conto che la persona che sta poco a poco distruggendo è sostanzialmente una, se stesso. Perché tesse una rete di cui diviene inevitabilmente la prima vittima.

Una rete che toglie la vita, toglie l’anima, e alimenta aridità e finzione. Tristezza e solitudine alla fine.

Percorrere, invece, una strada imbevuta di senso educativo significa fare propri strumenti per essere signori di se stessi, per saper vivere e sentire le nostre emozioni fino in fondo, accettarle e godere così di ogni attimo di questa esistenza. In quest’ottica allora provare a far comprendere il valore e il peso di una parola è un momento centrale, forse quello fondamentale, perché ci mette a confronto con chi davvero siamo.

Certo, possiamo fermarci al valore formale delle parole – questo è spesso purtroppo l’inganno inconsapevole che la scuola costruisce – e usarle sapientemente per costruire artefatti mondi senza emozioni. Questo con un po’ di impegno, iniziando da bravi anche eccellenti studenti,  e magari continuando come uomini di potere, tutti (o quasi) lo possono fare, facilmente e brillantemente, con esercizio e tecnica, ma alla fine, così facendo, quelli che mettiamo in trappola e a cui togliamo gioia siamo, va ribadito, noi stessi.

Oppure possiamo usarle e sentirne la passione fino in fondo, ascoltarne la bellezza, emozionarci della loro delicatezza. Per farlo ci vuole il coraggio di essere fuori dal coro, prendere una parola e guardarla come se fosse una piccola formula magica. Ma è questo lo sguardo necessario per lasciarci sorprendere e scoprire che, davvero, una sola piccola parola può aprirci un varco verso una conoscenza più grande più vera e più sincera. Per entrare dentro la nostra anima, metterla a contatto con l’altrove e lasciarla libera di sentire.

E oggi abbiamo davvero bisogno di sincerità. Di magia. E di emozioni, piccole, grandi, vere, libere.

Dall’emozione di una parola, nasce un mondo. E così a questa vita, e a ciò che siamo, possiamo dare valore.

La parola così sentita non cerca l’approvazione del mondo, ma solo la relazione. È un legame, un clic che apre qualcosa d’altro, un mistero che rimarrà tale, ma potrà essere ascoltato e sentito.

Questa piccola rubrica libera, allora, è un modo per dare a tutti l’opportunità di mettersi in ascolto, tramite le parole, dell’autenticità che possiamo essere, ma non da soli. Alla fine la parola è quasi sinonimo di ‘con’, di ‘insieme’. È un tramite.

 

HYGGE

 di Nory

Qualche giorno fa su Pinterest ho trovato una parola bellissima.

A me sono sempre piaciute le parole, soprattutto quelle che con uno o due suoni riescono a esprimere cose che per essere propriamente definite hanno bisogno di frasi.

La parola in questione è “hygge”, è danese e si pronuncia ugghe.

È un sostantivo che indica una condizione di benessere mentale, un benessere che deriva da una predisposizione ad essere positivi e ad apprezzare le piccole cose.

L’ho trovato su Pinterest perché il feed mi ha consigliato un pin. Era l’immagine di una camera; nella camera c’era un letto con sopra una trapunta a quadri grandi e colorati, il pavimento e le scale di legno. Il corrimano delle scale era decorato da piccole lucine dorate.  Gli scaffali, di legno, erano ordinatamente ripieni di libri e infine le finestre incorniciate da delicate tendine si affacciavano sulla neve. Il pin diceva: “estetica hygge”

Quella camera dava un senso di sicurezza, di conforto; del genere che a guardarla veniva da pensare che se solo fossi lì potresti finalmente fermarti e riflettere e magari ricominciare a muoverti con più chiarezza, con meno problemi.

Siccome è una sensazione che mi ha portato felicità ho pensato che sarebbe stato bello creare una rubrica hygge.  Un posto come quella camera, ma virtuale.

 

Primo pensiero

Un giro all’Ikea

Entri e con te tutte quelle anonime persone che per la durata del giro ritroverai almeno due o tre volte, oppure le incrocerai a quasi tutte le cucine e i salotti, anche se una volta entrati incominciate percorsi diversi a ritmi diversi.

Per la durata del tuo viaggio all’Ikea quelle persone acquistano una sorta d’identità, c’è il gruppo di amici sulla trentina, ci sono due anziane signore che entrano e girano per ogni camera, salotto e cucina, c’è la famiglia che senti arrivare dieci minuti prima, la madre e la figlia con il carrellino grigio.

Comunque non ti curi di loro, sono solo una presenza che distingue un giro all’Ikea da un altro.

Puoi girare lentamente per ogni parte dell’Ikea, puoi sederti sui divani, o nei tavoli in salotto, e fare finta che siano camere in città in cui sei sempre voluto andare.

Questa è la tua piccola, ma efficiente, camera da letto a New York. Questo invece è il tuo salotto a Berlino. Non importa se quei bambini terribilmente rumorosi di quella famiglia irrompono nel tuo salotto senza permesso e poi nel bagno e si siedono nella doccia. Neanche loro riescono a rompere l’incantesimo.

Vai avanti e ci sono le candele profumate. Puoi fermarti ad annusarle perché non c’è nessuno a farti fretta.  Puoi guardare tutte le ciotole per la cucina che vuoi, puoi provare tutte le scrivanie e tutte le poltrone. Puoi decidere di comprare e salvare le piante che ti sembrano ridotte peggio nel reparto verde del negozio.

E poi puoi uscire anche se non hai comprato nulla ed è come se avessi fatto un piccolo viaggio.