È di nuovo settembre

È di nuovo settembre

Sabrina Baratta

È di nuovo settembre e … tutto ricomincia: riunioni senza fine, regole da rispettare, burocrazia da espletare e nuove norme Covid, per scongiurare un altro anno di DAD e difendersi dalla paura.

Poi arrivano loro, finalmente, con i loro sguardi persi e assetati che chiedono a noi di essere adulti che indicano una strada e che la illuminano con i loro occhi, i loro gesti, le loro parole, la loro sapienza. Chiedono a noi di essere accesi per accenderli, di essere saldi e coraggiosi per aiutarli a non avere più così paura … paura di uscire, di incontrare gente, di ammalarsi e di vedere le persone amate ammalarsi e di “incontrare quella morte” che nessuno mai ha detto loro essere parte della vita, essere “nella vita”. E ci chiedono di essere vivi e di donare loro entusiasmo, passione incanto. Ma, sappiano rispondere a questo desiderio? Abbiamo “norme” per questa sete e fame di risposte che si agita dentro di loro alla ricerca di quel senso profondo da dare all’esistenza, di quel loro “male di vivere”? Un “male” che è parte del crescere, ma che resta in noi sempre, così come restano la gioia e lo stupore ma lo dimentichiamo e ci dimentichiamo che la scuola sono loro e che senza i nostri ragazzi noi docenti non siamo nulla e che loro dovrebbero mostrarci ogni anno, ogni giorno la strada da percorrere per arrivare alle loro menti, ai loro cuori. Ma come possono mostrarcela se noi non ci accorgiamo di loro? In questi giorni di inizio anno mai una parola, al Ministero o nei nostri Collegi Docenti è stata spesa per chiedersi come potevamo fare per farli sentire al sicuro e protetti, anche dalla conoscenza che rende forti e coraggiosi, se se ne comprende la profonda Bellezza, e che riempie di nuovo senso ogni cosa, ogni pensiero, ogni parola, che si fa nuova, ogni volta… sì  «la scuola è il centro della nostra comunità» e certo, «ritrovarsi a scuola è una gioia grandissima», ma se poi nessuno sorride, gli sorride, nessuno si accende di passione e luce quando parla del proprio Sapere, questa gioia dove è davvero? I nostri alunni lo sentono che noi siamo “grigi” e così si fanno “grigi” anche loro, piano piano, un po’alla volta.

I miei alunni di Terza Media quest’anno sono molto tristi, i loro sguardi sono spenti e sembrano stanchi, a solo pochi giorni dall’inizio della scuola. Perché? I piccoli invece, in Prima, sono ancora pieni di entusiasmo e hanno tanta voglia di conoscere, di essere, di esserci e mi chiedo: “Quanto durerà?”

L’altra sera ho ricevuto la mail di una mia cara alunna dello scorso anno: mi ha scritto per raccontarmi il suo primo giorno nella nuova Scuola. Mi sono riempita di gioia e di orgoglio nel pensare che abbia voluto condividere con me la meraviglia e la paura di quel nuovo inizio pieno di incognite e “mistero” e mi sono rivista in lei, all’entrata del liceo, tra quei “cuori affollati” ad attendere il suono della prima campanella.

«Alla fine è aria nuova, sei davanti a mille ragazzi all’uscita da scuola, ragazzi che hanno già fatto un percorso, ragazzi come me, ragazzi che cercano ancora le strade da prendere…

E tra tutti questi ragazzi ci sei tu, lì in mezzo a tutti che cerchi di imparare dagli errori e cerchi di maturare. É strano sentirsi “nuovi”. Ti senti in mano il mondo, il tuo mondo … ora non c’è più nessuno ci sei tu, diventiamo finalmente indipendente, nel bene e nel male»; questo scrive Maria Adele e nel rileggere le sue parole mi accorgo che ciò che sente lei non è diverso da ciò che sentivo io quando ero uno di quei “cuori affollati”, perché, anche se cambiano le epoche, il cuore dell’uomo e i suoi desideri più profondi restano gli stessi; e quei “cuori” che si sentono nuovi, ma dentro hanno la tempesta, cercano sguardi per trovare strade in cui perdersi e riconoscersi, e cercano guide, perché quell’indipendenza per ora è solo un miraggio, il pensiero libero ha bisogno di un lungo cammino: «questi professori sono davvero strani, in senso buono! Sono particolari, non sono i soliti che si siedono e non arrivano dentro al cuore di noi ragazzi (almeno mi è sembrato così), cercavano di farci partecipare ed è come se avessi percepito che loro ci volessero capire, con uno sguardo.

A volte se incrociavo gli occhi con un prof. mi sentivo entrare dentro, bruciare sotto il loro sguardo, mi sentivo “empatizzata”». Ecco, questo vorrebbero i nostri alunni, uno sguardo capace di entrargli dentro, una magica empatia che passi da noi a loro a volte come un soffio,  altre come una carezza, altre ancora come un vento impetuoso. Sicuramente hanno bisogno di sorrisi e di parole appassionate, di sentire che noi ancora ci incantiamo mentre raccontiamo loro il nostro Sapere che si fa vita, ogni volta nuova, grazie a loro e che c’è un «dolore buono» (come scrive Alessandro D’Avenia nel suo ultimo articolo sul Corriere) nella conoscenza che è fatto di fatica, a volte di «studio matto e disperatissimo», ma che è quello che fa crescere forti e liberi come vorrebbe Maria Adele.

Essere adulti che si nutrono di vita non è facile, ma se noi siamo lo specchio del loro domani, allora dobbiamo provare a farlo brillare quello specchio perché il futuro è in quei loro occhi assetati e accesi che non meritano di essere spenti, perché chi spegne la scuola, spegne il mondo.

È arrivato settembre e nulla è cambiato, ma come le foglie di ottobre mi coloro per sognare una nuova primavera …