BENVENUTI IN RPscuola

VICE: Per aprire questa nostra nuova rivista web voglio partire dall’articolo che ho sentito il bisogno di scrivere a giugno, quando mi sono direttamente sentita chiamata in causa da chi sosteneva che i docenti non parlano, subiscono e basta. Ma come, non parlano? Mi sono subito indignata, e non solo per questo. 

I docenti parlano eccome, il problema dicevo, è che bisogna dare loro la parola, la possibilità di parlare. E di replicare. E di ascoltare anche il loro punto di vista, che sembra strano ma non è sempre e solo fatto di lamentele, di apologie della prassi o del tecnicismo didattico o di fastidiose richieste di ricette per agire e riuscire ad avere un qualche effetto sui ragazzi. A volte i docenti sono presi anche dal dubbio e dallo slancio di costruire un proprio percorso didattico e una propria riflessione che giorno dopo giorno prende forma quando l’incontro con i ragazzi regala quello slancio in più per rimodellare l’idea. Io sono stata a lungo precaria dell’università, luogo da cui studiavo l’educazione, il mondo della scuola e le idee pedagogiche, eppure mai come in questi anni, da quando appunto sono docente, ho sentito la forza e la praticità di idee che a volte sembrano avvolte nel sogno o nell’illusione o nell’utopia. Ho scoperto, viaggiando tra i banchi scolastici, che i ragazzi, ma anche io stessa, hanno bisogno di questo, di muoversi oltre la realtà per guardarla con occhi nuovi, per capirla meglio e darle la direzione che desiderano. Per me “RPscuola” è questo: viaggiare dentro e fuori la scuola, con lo sguardo di chi è perso nei sogni ma non vuole abbandonare la realtà. Non per subirla, al contrario, per trasformarla e renderla sempre più vicina alla speranza, all’idea, al desiderio che su di lei coltiviamo. Ne parlavamo l’altro giorno, la speranza è ciò che un docente non può mai mollare, sapere regalare un sogno è la cosa più grande che noi sappiamo fare; e io lo sento come mio dovere – e lo confesso a scuola mi diverto sempre molto. Ma non è un mestiere straordinario il nostro?

DIR: È vero, anch’io credo proprio così: un mestiere straordinario e di grande divertimento troppo ingiustamente bistrattato da personaggi non sempre all’altezza di farlo. Fare l’insegnante racchiude in sé una marea di potenzialità – tensione a fare sempre del bene e tensione a infondere speranza, serenità personale e voglia di capire e sapere il valore dell’illusione, che spinge ad andare oltre a ciò che c’è, capacità ipotetiche e spirito utopico e altre ancora – che si intrecciano tutte tra di loro in maniera laocoontica e che viaggiano come fossero un sistema nella testa dell’insegnante, che nella scuola prendono volta volta forma e divengono operative nell’incontro con la testa dei ragazzi. Insegnante e ragazzi danno vita a reciproche provocazioni che danno il via all’educazione, quello strumento che abita nella scuola e insegna a mettere in crisi le mappe mentali di insegnanti e ragazzi. Simili idee viaggiano nella scuola, è vero, tra i banchi, e insegnanti e ragazzi possono raccoglierle, dare loro un ordine e diventare il nucleo meraviglioso della loro relazione, carpendone il nucleo che l’accomuna, la loro stessa umanità. Ha proprio ragione lei, mia cara interlocutrice, è questo lo scopo di “RPscuola”: far viaggiare dentro e fuori la scuola i nostri ragazzi forti dei sogni che essa stessa ha saputo coltivare insieme alla speranza di cui parlavamo qualche giorno fa, come lei ha ricordato. È giusto la scuola, tramite l’insegnante, che si assume il compito di dare al ragazzo la sua parte di felicità. Perché la scuola è vita. Non una sospensione di vita chiusa fra parentesi. 

VICE: La scuola è vita, definitivamente vita, che si svolge sotto i nostri occhi che non sono mai attenti abbastanza; vita che viviamo insieme e che va rispettata e accolta con delicatezza. La loro, quella dei ragazzi, ma anche la nostra, quella di noi docenti, che siamo così stanchi e demotivati a volte, altre invece carichi e pieni di entusiasmo, ma di fondo troppo spesso così privi della necessaria fiducia che anche il nostro contributo può essere un grande passo verso un mondo migliore. I medici agiscono nell’urgenza, noi nei tempi lunghi dell’educazione, ma la nostra azione è preziosa. Prima di tutto, per dare valore a quel tempo che i ragazzi spendono dentro le mura di un edificio scolastico e che è la parte forse più importante della loro vita. Almeno per molti. È l’occasione per incontrare altri ragazzi, per confrontarsi con adulti che non sono quelli della famiglia, per costruire nuove relazioni e per intraprendere il viaggio dentro la conoscenza dell’umanità, attraverso i saperi – cioè il viaggio alla fine verso se stessi in quanto uomini. Montessori diceva che un principio educativo fondamentale è che la vita deve essere protetta; lo credo anche io con tutta me stessa, e proteggerla significa darle tutto il valore che ha, rispettarla oltre stupidi schematismi, costruire un sapere giusto per le giovani vite che abbiamo davanti e che permetta loro di essere fondamentalmente liberi. Liberi di vivere la loro età e di sognare l’età futura, liberi di essere se stessi, oltre ogni convenzione e imposizione, liberi di essere felici. E un po’ questo è anche quello che penso per noi docenti, che sappiamo sempre imparare dai nostri ragazzi la loro saggezza, la loro sincera voglia di esistere e ci facciamo condizionare, senza rinunciare mai a quel sogno di esistere liberamente che troppe volte l’essere dentro una società da adulti fa dimenticare. Per me dunque non è una parentesi la scuola, ma vita vera, dei ragazzi e dei docenti, e ha bisogno di rispetto e di valore. 

DIR:  La vita attraversa tutta la scuola, altro che una parentesi! Quale sciocco vorrebbe sospendere dalla vita la sua parte più interessante, quella parte che indirizza il ragazzo verso mondi che non avrebbe mai immaginato e che possono essere fatti propri.  Sono i mondi del sapere, di tutto ciò che accomuna un uomo ad un altro uomo all’interno di una comunità che ha nella scuola il suo tesoro più importante. Pochi, però, si preoccupano di sapere cosa sia la scuola, i fini che deve perseguire. La scuola è un sistema complesso, le cui parti esprimono al meglio il concetto di bene. In essa non c’è una cattiva educazione, ma semmai una educazione che non c’è. L’educazione – e la scuola che la invera – sono il migliore strumento che l’uomo abbia inventato per farne un “opificio di cultura” che lo protegga da ciò che è male, ossia dal non imparare come si fa ricerca. È questa la finalità della scuola: interpretare e insegnare a interpretare per far sì che colui a cui s’insegna persegua la strada verso la padronanza di sé, una strada costellata di dubbi, visto che le interpretazioni sono sempre effimere anche quando possono sembrare eterne. E non è un caso che la scuola, riprendendo e ampliando Montesquieu, sia una delle quattro colonne dello Stato di diritto. Essa, pertanto, ha sempre a che fare con la politica, e, addirittura, postula  la sua presenza  tra le quattro entità che reggono lo Stato democratico: Parlamento, Esecutivo, Magistratura, Sistema formativo. Infatti, senza la scuola non ce ne sarebbe nessuna. La scuola non si esaurisce in ciò che si vede o che si immagina di vedere, ma è il nucleo di un discorso da leggere anche tra le righe con tutte le invisibilia (i concetti) le cose che non si vedono e non si toccano e non si sentono ma la tengono su. Dire, per esempio, che l’insegnante di storia insegna le crociate è come non dire nulla perché si trascura come le insegna, ossia tutto ciò che non si vede e, quindi, non è fonte di interpretazione che è  proprio quanto qualifica una lezione. Ciò significa che la scuola, se vuole educare, è sostanzialmente interpretazione. Ed è proprio facendo lezione e, quindi, interpretando che l’insegnante non solo fa scuola, ma fa la scuola. Niente insegnante, niente interpretazione, niente scuola. L’insegnante è, quindi, colui che ha un ideale di scuola che cerca di perseguire con i suoi allievi: motivati o non motivati. Sta a lui motivarli o motivarli ancor più, ascoltandoli e proponendo, ascoltandoli ancora e riproponendo ancora cosa fare e come fare, in un dialogo, che è e deve essere conflittuale perché, se l’insegnante veramente ascolta inserisce sempre qualcosa di più. E proprio questo qualcosa di più farà, prima o poi, scattare la motivazione per impegnarsi in un’azione che dà un contributo a fare quella scuola ideale che è, comunque, un opificio di cultura. Mi chiedo come sia possibile che ciò accada e in quale modo un docente può motivare i ragazzi.

VICE: La domanda è davvero intrigante ed è forse l’impegno vero, profondo e quotidiano del lavoro di docente – motivare i ragazzi. Forse tutto questo sito è un modo per inseguire le strade per pensare e motivare tutti gli attori della scuola. È questo che proviamo a fare in fondo in “RPscuola”, un grande contenitore che ha, tra gli altri, questo scopo così importante, dare motivazione ai docenti perché essi possano a loro volta trovare la forza e la strada per motivare i ragazzi.

DIR: Infatti! E avremo modo di tornare tante volte su questo cuore concettuale, su quella linfa educativa, che è la motivazione.

VICE: Provo allora a illustrare la nostra idea… “RPscuola” è nata un po’ per volta, ricorda, all’inizio lei ha scritto delle ‘anticipazioni’ alla rivista che sono state messe sul sito, assecondando l’urgenza di un momento particolare per la scuola che aveva bisogno di tempi più rapidi e non poteva attendere quelli necessariamente lunghi di una rivista come è “Ricerche Pedagogiche”. Poi questo urgenza l’ho sentita io, quando è esplosa la DAD, in cui tutti si sentivano di parlare, anche un po’ a caso, senza troppa competenza, diciamo, sulla scuola. Così sono usciti tre o quattro articoli, non ricordo, e alla fine abbiamo deciso di dare un nome a quel contenitore ed è nato, in quel momento, appunto solo il nome “RPscuola”. Ma l’urgenza della prassi continua a farsi sentire, l’urgenza di un momento storico particolare in bilico tra il chiudere la scuola e il trasformarla in un’ombra di se stessa, costretta a viaggiare nei fili di una connessione instabile, a dover far incontrare ragazzi e docenti e ragazzi tra loro solo attraverso uno schermo. Sorta di fantasmi, ombre di quello che era la scuola, quasi incubo ad occhi aperti. E poi i concorsi, e lo stravolgimento che sta accadendo giorno dopo giorno sotto i nostri occhi. Questa povera nostra scuola. E non si può non parlarne.

DIR E VICE: Così ci siamo detti che ci vuole una specie di osservatorio, che tenga d’occhio tutto quello che accade ma che sia anche capace di tratteggiare quello che lei ha felicemente definito un canovaccio pedagogico; insomma tanta attenzione alla prassi – perché l’educazione vive nella prassi –, ma altrettanta all’idea, alla teoria, al sotteso motore utopico che la muove e che ci muove come docenti e come ricercatori di questo complesso ambito, un ambito purtroppo oggi sempre meno consapevole di se stesso e dei propri specifici strumenti e sempre più disposto ad andare a prenderli altrove. Se tempo fa la filosofia teneva la pedagogia come propria ancilla, oggi sempre di più la pedagogia scompare sotto lo sguardo per forza di cose poco accorto (dal punto di vista educativo) della psicologia. E perde se stessa. Noi vorremmo far ritrovare se stessa a questa che chiamiamo scienza, anzi più di preciso scienza dell’educazione; e se tale è, se è scienza, vuol dire che ha un suo sguardo specifico, particolare, un modo dell’osservazione che è solo suo e non di altri. Questo non significa che non debba confrontarsi con altri settori; anzi, al contrario la pedagogia vive di questi confronti e anche di tanti piccoli furti, che però rende suoi, totalmente suoi e con essi guarda originalmente il mondo.  

E per guardarlo abbiamo aperto tante finestre: osserveremo la scuola nel mondo, andando a curiosare un po’ in giro, oltre i confini nazionali, che d’altra parte non servono a imbrigliare lo sguardo educativo né possono strutturarlo (La scuola nel mondo); guarderemo dentro la scuola (Tra i banchi di scuola) cercando la parola di chi in essa opera e dandole spazio; terremo lo sguardo fisso sul web e sui giornali per riempire di commenti e di riflessioni le ultime notizie sulla scuola e non perdere il passo (Ultim’ora) e metteremo in evidenza ciò su cui ci pare necessario puntare i riflettori (In primo piano); ma proveremo anche a seguire questa cascata di decreti, circolari, leggi e tutto quello che va a normare e a costruire continue specifiche o eccezioni alla scuola, anche i concorsi, che oggi sono un grande incomprensibile caos, bloccato nell’assurdo (Leggi e circolari/ Concorsi); daremo spazio a lettere e dialoghi tra docenti, tra docenti e allievi, tra i protagonisti insomma di questa scuola (Lettere a RP e Cara/caro prof); e uno spazio ai concorsi per studenti, per seguire le iniziative pensate per stimolare l’eccellenza (Concorsi studenti); uno spazio, poi, è dedicato a un semplice rimando alla storica rivista, “Ricerche Pedagogiche” (La rivista), che continua la sua vita come sta facendo da ormai 55 anni; e poi un angolo un po’ tradizionale, forse, ma sempre importante, in cui fermarci a riflettere sulla scuola che c’è e sulla quella che ci potrebbe essere (Riflessioni sulla scuola).

VICE: Infine uno spazio particolare è riservato alla rubrica che tengo dal giugno del 2019,  Diario di scuola, e che racconta la mia avventura di docente, che è iniziata tardi, quattro anni fa, dopo una lunghissima avventura/disavventura universitaria nel settore pedagogico. Nella scuola ho incontrato una umanità che nel mondo universitario ai miei occhi per lo meno è sempre stata nascosta, travolta da troppi interessi particolari e distorte ambizioni, che hanno lasciato scivolare via quella ricerca di cultura, quel sogno di una circolarità tra i saperi, che rimane interesse di quei pochi che ancora hanno il coraggio di credere nell’università come il luogo eletto al pensiero, alla costruzione di una comune riflessione culturale pensata per un mondo migliore. Il sogno di un mondo migliore invece dentro la scuola è realtà e lotta comune, auspicio e sogno ideale, incontro reale e immaginario tra tutti i suoi, un po’ bistrattati, bisogna dirlo, protagonisti. Perché alla fine a scuola se tutti noi, docenti, ci andiamo è per loro, i ragazzi, perché sappiano ascoltare e credere nei propri sogni, e in se stessi. E da dove si può migliorare il mondo, se non partendo proprio da qui?