L’educazione non si recupera

18 febbraio 2021

Alessandra Avanzini

L’educazione non si recupera

Ho fatto un sogno…

Ho sognato che la scuola era diventata un luogo importante, che era un diritto di tutti e una sfida per un mondo migliore; 

ho sognato che c’era un luogo in cui gli scienziati di ogni sapere si riunivano e si domandavano, dialogando insieme, il senso e lo scopo della propria disciplina, ne mettevano a fuoco la portata educativa, laddove presente, e la trasformavano in sapere da offrire ai ragazzi, come un gioco serio e prezioso; 

ho sognato insegnanti che trasformavano la DAD in un’occasione, perché non si poteva fare altro, e riuscivano a sfidare la distanza per trasformarla in presenza ideale, pronta a ritornare anche concreta appena possibile; 

ho sognato ragazzi che sorridevano perché non c’erano docenti a farli piangere e a umiliarli con voti assurdi, ma docenti che perdonavano qualche inevitabile carenza e li aiutavano ad essere a poco a poco e sempre di più uomini.

Poi mi sono svegliata e ho sentito invece parole che non mi sono piaciute per niente e le ho sentite da questo nuovo governo:

  recuperare – recuperare cosa? Il tempo dei ragazzi, passato per sempre dietro ad uno schermo che forse funzionava forse no, chi se ne importa? Recuperare il tempo perso in DAD? come se l’unica ragione della scuola fosse inseguire un enorme mucchio di nozioni con cui impastare, rattristare e confondere la mente dei ragazzi, una mente che sogna di essere libera; recuperare la relazione educativa? Ma quella non si recupera! Si costruisce come si può facendo di necessità virtù e in quell’incontro, magari anche zoppicante, ragazzi e docenti crescono insieme;

– fare scuola a giugno, nei weekend, d’estate, nel pomeriggio – E come poi? Rubando il tempo di cui abbiamo bisogno per pensare e ripensare il nostro lavoro, il nostro rapporto coi ragazzi, oltre che il tempo in cui forse speriamo di riposarci dopo che la DAD al 100%, 75%, 50% ci ha e ci sta ancora stremando? E rubando il tempo a ragazzi che non ne possono più di vedersi rubati il tempo e la vita, chiusi in casa dietro a un computer?

– finanziare gli ITS – finanziare gli istituti tecnici superiori? Per fare un favore al mondo del lavoro? Alle aziende? Per avere competenti robot da immettere sul mercato? E la mente libera dei nostri ragazzi non merita un pensiero e qualche soldo in più? I licei? Le università? Credevo che la cultura fosse principalmente raccolta e coltivata in quei luoghi… e ora dove va? Dove la chiudiamo? La releghiamo in un museo antico impolverato e un po’ ammuffito, inutile accessorio di quando avevamo fiducia nell’uomo? La lasciamo lì, senza fondi e attenzioni, tanto è superata dall’efficienza della tecnica?

E mi sono chiesta perché la scuola è sempre in mano a tutti tranne che a coloro che sinceramente ci credono e investono da sempre nel sogno educativo come nel sogno di un mondo che può ancora cambiare se solo gliene diamo la possibilità? 

Perché la scuola è in mano a tecnici che non hanno compreso cosa essa sia e il ruolo fondamentale che ha nella difesa dell’uomo e di un mondo che sappia metterlo al centro? 

Chi parla di ‘recuperare’, ‘finanziare gli ITS’ … sa cosa significa insegnare? 

Insegnare non significa riversare nozioni in teste vuote e nemmeno ‘erogare’ un servizio. 

Insegnare significa dialogare con i ragazzi, costruire una relazione educativa con ciascuno di loro, mettere in gioco faticosamente noi stessi, quello che siamo, quello che sappiamo, usare libri per cercare un confronto e se anche il sapere non viene pienamente compreso e appreso, c’è una umanità che cresce – e questo è il nostro obiettivo. 

Non abbiamo bisogno di recuperare niente perché educare non è istruire, è un lavoro complesso che mette in gioco saperi, umanità, esistenza e lo fa costruendo relazioni che si creano nell’incontro o non si creano affatto. 

Per recuperare due nozioni basta un po’ di studio individuale e se c’è la motivazione a farlo non c’è bisogno di pomeriggi weekend o bollenti giornate estive. La relazione invece non la si recupera più. O abbiamo avuto il coraggio di costruirla o speriamo di saperlo fare in futuro. Certamente educare non è recuperare.

Educare è avere il coraggio di fare e pensare insieme con un sogno nella testa, spingere verso un’umanità migliore che sappia migliorare anche noi stessi, saper vedere ciò che la realtà sempre di più cerca di nasconderci – che una possibilità c’è, che un futuro migliore è possibile, nonostante tutte le spinte a investire sulla tecnica, sulle nozioni, su una aridità umana che è la principale causa di ogni distruzione e crollo educativo e umano. Che è la principale causa della nostra tristezza e di quella dei nostri ragazzi, con lo sguardo perso di fronte a un 3 e gli occhi desiderosi di andare ovunque, tranne in quella che, su questa strada,  sempre di più verrà sentita non come un momento di gioia e di incontro, ma come una prigione – l’aula scolastica. 

Provo a chiudere gli occhi, e sognare di nuovo. 

Provo a costruirlo io il sogno e penso che magari sarà possibile che gli uomini prima o poi imparino una cosa fantastica, immaginare – immaginare che il mondo non è solo ciò che ci appare, ma è soprattutto ciò che potrebbe essere, tutto ciò in cui desideriamo trasformarlo. Non è semplice, perché per fare una cosa di questo tipo ci vogliono coraggio, cuore e cervello – è un po’ come incamminarsi sulla strada di mattoni gialli, con tre strambi compagni di viaggio, un leone, un taglialegna e uno spaventapasseri, che credono di averli persi, il cuore, il coraggio e il cervello, ma, loro sì, sono sufficientemente intelligenti da non rassegnarsi e da seguire la piccola Dorothy in un viaggio fantastico e contro ogni logica evidenza – ma prima di tutto ci vuole la consapevolezza di cosa sia veramente e nel profondo l’educazione, un dialogo e una sfida, uno slancio instancabilmente ribelle verso la ricerca e l’affermazione, non di un mondo più produttivo, stabile e comodo, ma di un mondo più felice e a misura d’uomo.